BES e DSA

La Circolare Ministeriale n° 8 del 6/3/2013, applicativa della Direttiva Ministeriale del 27/12/2012, relativa agli Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione per l’Inclusione scolastica e la successiva nota Ministeriale del 22/11/2013 definiscono, fissano e chiariscono  i piani operativi, metodologici, didattici necessari ad ottimizzare la qualità dell’inclusione. Il concetto di BES/SEN (special educational need) appare in documenti ufficiali internazionali a partire dal 1997 (UNESCO).

In Europa la legislazione di alcuni paesi della comunità, già dal 2001, considera soggetti BES “ persone in età evolutiva che manifestino difficoltà di apprendimento e di comportamento diverse dalla disabilità” (Ianes e Cramerotti, 2013). La legge 170 del 2010 riconoscerà, successivamente, il diritto degli alunni DSA ad ottenere un percorso formativo personalizzato. Il focus si sposta quindi dalla disabilità vera e propria, quadro clinico definito e certificato da un accertamento medico (lex 104/92)  ad un disagio, un malessere che  pervade la vita del ragazzo e ne coinvolge la quotidianità degli affetti, dei rapporti sociali, familiari, un disagio che sottende all’emarginazione culturale, linguistica, che in molti casi è il risultato di una difficoltà di relazione, di una devianza o determina una fragilità a livello psicofisico (condizione non sempre accertata e quindi certificata).  

In una classe si possono così trovare tanti e diversi bisogni educativi e diventa fondamentale rispondere ad ognuno di essi in modo competente e certo, perché l’ambiente di formazione non diventi limitante  per nessuno, quindi causa e luogo di ulteriore disagio ed emarginazione. Imperativi d’azione sono: includere, accogliere senza discriminare, potenziare l’agire educativo, valorizzare i diversi stili di apprendimento presenti nel gruppo classe, superare qualunque svantaggio. In tal senso la scuola deve essere ripensata ed adeguata ai bisogni di tutti gli alunni e alle loro specificità, considerando la diversità  il vero valore dell’agire inclusivo.

L’azione  didattica,  pedagogica, metodologica dovrà essere mirata, utile ad identificare, gestire e sanare qualunque difficoltà evolutiva, sia in ambito educativo che apprenditivo, promuovendo i principi legittimi dell’inserimento sociale dell’alunno. Si è così chiamati ad un comune e nuovo agire pedagogico, ai docenti, alla loro discrezionalità,  spetta l’onere di identificare ed attenzionare i casi più gravi, attivando interventi specialistici di supporto. Dall’esperienza accumulata in anni di sperimentazione in classe, dalle competenze professionali acquisite, dalla formazione in servizio, dovrà arrivare l’impulso per avviare il nuovo  piano operativo. Sarà prioritario rivedere ed adeguare didattica, strategie, contenuti, programmazioni, progetti. Nuovi i ruoli, le funzioni, le responsabilità che ogni insegnante curriculare dovrà ricoprire ed assumersi;  l’attività del singolo docente sarà strettamente legata a quella dei colleghi, l’ambiente di apprendimento sarà unico e teso ad uno scopo comune: tutelare il minore ed aiutarlo a “formare percezioni del sé accurate ed ottimistiche”, lavorare sulla motivazione, favorire comportamenti prosociali, ascoltare e comunicare privilegiando il dialogo e il confronto tra pari e con gli adulti. Il Docente dovrà facilitare ed organizzare l’azione educativa piuttosto che imporre metodi, conoscenze e contenuti.

Indispensabile la formazione psicopedagogica, relazionale, nella comunicazione poiché si sarà chiamati ad interfacciarci con il territorio, le famiglie, le istituzioni, le strutture sanitarie, i servizi sociali.  Il Ministero ha chiesto alle scuole di effettuare un censimento dei casi D.S.A e B.E.S, uno screening che consenta, in fase di avvio del programma di inclusione, la classificazione delle variabili  del disagio. Le indicazioni  al momento  più accreditate per l’identificazione dei  Bisogni educativi, sono quelle riconducibili al modello ICF International Classification of Functioning, Disability and Health, Classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute, strumento d’indagine definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2002, utile a consentire una classificazione, il più possibile completa, dello stato di salute di una persona.

L’alunno che viene ricompreso, per la complessità dei suoi bisogni, nel modello ICF può evidenziare difficoltà specifiche in vari ambiti:

DSA

Bisogni Educativi  derivanti da CONDIZIONI FISICHE DIFFICILI

Ostacoli presenti nei  FATTORI CONTESTUALI AMBIENTALI

Ostacoli presenti nei  FATTORI CONTESTUALI PERSONALI 

Bisogni Educativi  da menomazioni nelle  STRUTTURE CORPOREE 

Bisogni Educativi  da deficit nelle  FUNZIONI CORPOREE

Bisogni Educativi  da difficoltà nelle  ATTIVITA’ PERSONALI

Bisogni Educativi  da difficoltà od ostacoli nella  PARTECIPAZIONE SOCIALE

“L’ICF recepisce pienamente il modello sociale della disabilità, considerando la persona non soltanto dal punto di vista “sanitario”, ma promuovendone un approccio globale, attento alle potenzialità complessive, alle varie risorse del soggetto, tenendo ben presente che il contesto, personale, naturale, sociale e culturale, incide decisamente nella possibilità che tali risorse hanno di esprimersi. Fondamentale, dunque, la capacità di tale classificatore di descrivere tanto le capacità possedute quanto le performance possibili intervenendo sui fattori contestuali. Il modello introdotto dall’ICF, bio-psico-sociale, prende dunque in considerazione i molteplici aspetti della persona, correlando la condizione di salute e il suo contesto” ( Ministero pubblica istruzione - Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità).

Questo il punto di partenza per una indagine capillare negli Istituti. Spetterà poi al Consiglio di classe e ai docenti in team, consigliati anche dai colleghi di sostegno, osservare e  precisare il grado di problematicità riscontrato.  Successivamente, sempre comunque in presenza di una certificazione, si stilerà un Piano Didattico Personalizzato e definito un Piano Annuale per l’Inclusività- PAI, che l’Istituto dovrà elaborare annualmente, presentando le attività svolte, i laboratori, ogni azione didattica posta in essere per favorire l’inclusione, documentando il reperimento di risorse economiche ed umane utili alla certificazione della qualità dell’inclusione. Il GLI (Gruppo di Lavoro per l’Inclusione) all’interno del nuovo sistema operativo dovrà  progettare e sperimentare percorsi formativi, supportare i docenti nelle attività didattiche e nella gestione delle classi, elaborare il PAI, migliorare l’efficacia dei processi di inclusione, vigilare sull’applicazione di protocolli e norme riguardanti l’uso di misure compensative e dispensative, richiedere consulenze ed interventi medici.

Polemiche e aspre critiche hanno accompagnato l’emanazione delle direttive ministeriali e ciò ha richiesto chiarimenti ufficiali e precisazioni di metodo.  E’ comunque certo che riconoscere e valorizzare le diversità è obbligo morale ed etico.

E’ necessario lavorare senza riserve mentali, predisponendo ambienti educativi in cui il bambino, il ragazzo possa crescere con un orientamento del fare ben definito e una valutazione positiva della propria persona. Quello dell’adulto deve essere un intervento sicuro, un agire discreto, non bisogna giudicare, ma limitarsi ad osservare ed ascoltare.


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